I Silos di Maccarese

di Riccardo Di Giuseppe

Percorrendo le strade della tenuta di Maccarese, l’occhio dell’osservatore attento, è rapito senza ombra di dubbio da quelle strutture cilindriche che si elevano nei vari centri numerati con le caratteristiche case rosse realizzati a partire dal 1925 con la bonifica integrale. Per gli abitanti del luogo sono qualcosa di familiare, direi anche di intimo, li ad evocare la storia e la cultura di un territorio di cui sono diventati uno dei simboli. Oggi i Silo, così vengono chiamati localmente, sono diventati il più delle volte delle vere e proprie abitazioni originali ed esclusive. Per gli addetti ai lavori sono detti silos di tipo cremasco oppure silos Samarani. Non tutti sanno, infatti, che quelle strutture di cemento armato sono state il frutto dell’intuito e dell’ingegno del dott. Franco Samarani, dottore in agraria e batteriologo le cui idee contribuirono al progresso agricolo sia in Italia che all’estero. Samarani, nacque il 13 dicembre 1879 e laureatosi in Scienze Agrarie a Milano nel 1903, dedicò la sua attività soprattutto al problema della conservazione dei foraggi. Agli inizi del novecento comincia, infatti, a diffondersi in Italia idea di un centro di ricerca che si dedicasse in particolar modo a studi sulla batteriologia agraria. Il lavoro in questo particolare settore, permise lo sviluppo di un filone di ricerca incentrato alla conservazione del foraggio nei silos. In questo contesto di fermento arrivò nel gruppo a Crema anche colui che nel 1915 veniva definito un “tecnico già specializzato”, ovvero Franco Samarani per lavorare presso la neonata Stazione Sperimentale di Batteriologia Agraria dove sviluppò la maggior parte delle sue ricerche. Ben presto si distinse per l’eccellenza dei suoi studi diventando direttore della Stazione cremasca. Il problema della conservazione dei foraggi è sempre esistito laddove vi sia stato un’importante sfruttamento agricolo della terra, per l’alimentazione degli animali da lavoro e dei capi destinati alla produzione di latte e suoi derivati per uso poco più che domestico, ma ha acquistato una notevole importanza nei casi in cui le aziende del territorio si siano indirizzate verso l’allevamento dei bovini per la produzione del latte su vasta scala. Tale scenario produttivo, che si riscontra ancora oggi nelle campagne cremasche, è il contesto nel quale circa un secolo fa si attivò a Crema il gruppo di ricerca del dott. Samarani. L’alimentazione delle vacche dedite alla produzione del latte doveva essere costante e consistente per tutto l’anno e per garantire un adeguato apporto nutrizionale si utilizzavano alcune tecniche di conservazione per il mantenimento del foraggio nel periodo invernale. Una di queste, la fienagione, consentiva di conservare il fieno essiccando il foraggio sul prato per poi stiparlo nei fienili. Tuttavia questa metodologia non rispondeva a pieno alle esigenze perché con l’essiccazione si riducevano sia il peso sia il valore nutrizionale del foraggio. Alla luce di queste considerazioni appariva evidente, la necessità di ottimizzare le risorse disponibili impegnandosi in una ricerca mirata. Le tecniche per il mantenimento dei foraggi erbacei fino a quel momento utilizzate, non rispondeva bene alle esigenze di conservazione e per questi motivi le ricerche di Samarani si indirizzarono verso la messa a punto di un metodo utile ed efficace per la conservazione del foraggio. In questo senso il risultato che più ha reso celebre la Stazione cittadina e l’uomo che l’ha diretta per molti anni è stato senza dubbio il Silos tipo cremasco. L’innovazione studiata e sperimentata per la prima volta dal Samarani consisteva principalmente nel “dotare le vasche del silos di un vero coperchio – possibilmente tutto d’un pezzo – impermeabile ai gas, manovrato meccanicamente, al fine si sottrarre completamente il foraggio dal contatto con l’aria, anche nel corso stesso del periodo di caricamento”. La vera differenza tra un silos, ad esempio, americano e un silos cremasco stava appunto nel coperchio e nella pressione che deve essere esercitata su di esso e di conseguenza sul foraggio sottostante. Gli opuscoli e le pubblicazioni dell’epoca fornivano una serie di indicazioni su come caricare il silos nella maniera corretta al fine di non compromettere l’alimento al suo interno. Per essere immesso nel Silos cremasco il foraggio non doveva essere completamente verde ma essiccato per qualche ora al sole fino a raggiungere lo stato di mezza essicazione e possibilmente doveva essere asciutto da pioggia o rugiada. Potendo riempire il silos col foraggio di un solo sfalcio erano necessari alcuni giorni e per questo si suggeriva di comprimerlo man mano che veniva insilato ricordandosi di abbassare il coperchio tra un caricamento e l’altro e comunque al termine della giornata per evitare che iniziassero le fermentazioni. Il coperchio infatti, per la sua peculiarità di non far passare l’aria, creava un tappo che impediva all’anidride carbonica prodotta dal foraggio di uscire e all’ossigeno esterno di entrare. In questo ambiente la fermentazione dei foraggi veniva moderata dall’anidride carbonica dovuta alla respirazione dei tessuti vegetali, “fattore capitale della buona conservazione dei foraggi nei silos tipo cremasco”. Questo elemento gassoso antivitale preservava i foraggi dal riscaldamento, dalla comparsa delle muffe e dalla conseguente putrefazione. I vantaggi della tecnica cremasca sono sempre stati puntualmente esposti negli scritti e pubblicazioni scientifiche di cui gli uomini della Stazione andavano orgogliosi. Grazie a questi risultati e ai notevoli vantaggi apportati al settore, i Silos tipo cremasco si diffusero così rapidamente in Italia “nonostante il caro prezzo delle loro costruzioni” varcando anche i confini nazionali. Le riviste e i giornali indirizzati agli agricoltori italiani e le pubblicazioni che riuscivano ad andare oltre confine furono sicuramente un buon veicolo per la diffusione delle novità cremasche. Accanto alla ricerca si sviluppò anche la produzione dei silos che nel Cremasco erano fabbricati direttamente dalle officine dell’Industria Fermenti, nata nel 1919 e insediatasi a Santa Maria della Croce restando a stretto contatto con la Stazione Sperimentale di Batteriologia Agraria e che ha avuto una continuità nel suo lavoro fino ai giorni nostri sotto la guida dei discendenti della famiglia del Samarani che attualmente dirigono la Silos Samarani di Romanengo. Per un certo periodo anche una ditta concorrente, la De Poli – Bianchini (quest’ultimo allievo di Samarani), poi assorbita dall’azienda della Stazione, iniziò la produzione e la diffusione dei silos tipo cremasco. Anche nei centri a produzione lattifera di Maccarese era fondamentale la conservazione dei foraggi per l’alimentazione del bestiame e per questo motivo vennero edificati silos della scuola cremasca sia Samarani che della ditta De Poli – Bianchini che ancora oggi possiamo ammirare e che rappresentato un eccellenza tutta italiana dal punto di vista tecnologico e del progresso agricolo in tutta italiana ma anche all’estero. I Silos, oggi non vengano più utilizzati con la funzione per cui erano stati progettati e il più delle volte sono stati trasformati in dimore caratteristiche. Il nostro territorio si conferma ancora una volta un museo a cielo aperto in grado di raccontarci, la storia, la cultura del nostro paese, ma anche l’ingegno e l’intuito di uomini straordinari. Alla morte di Samarani l’assemblea del Collegio degli Ingegneri di Milano, in una solenne commemorazione, deliberò per acclamazione che il silos per foraggi tipo cremasco venisse chiamato Silos Samarani in onore di colui che lo aveva messo a punto. In tempi più recenti i cremaschi, volendo ricordare l’eccezionale concittadino, gli hanno dedicato una via nel quartiere di Crema Nuova, a testimonianza della gratitudine nei confronti di un uomo che fece vivere momenti di gloria alla sua città e alla scienza agraria italiana.

(di Riccardo Di Giuseppe)

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3 risposte

  1. Claudio giannini ha detto:

    Bravissimo Riccardo bellissima descrizione

  2. Federica Ricci del Riccio ha detto:

    Grazie per questo bel articolo. È curioso come si possa vivere tanto tempo in un luogo senza conoscerne le caratteristiche.

  3. Giuliana Zucca ha detto:

    Ho letto dell’orrore che vi ha colpiti. Non ci sono parole, solo dolore e tantissima rabbia per la cattiveria e l’ignoranza che dilaga.
    Spero che vengano individuati i colpevoli e che siano assicurati ad una pena esemplare.
    Continuate nel vostro magnifico lavoro, non siete soli.
    Un caro abbraccio. ❤
    Giuliana

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